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al testo proposto da Teresa Milioto
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<< In quella solitudine, il male faceva rapidi progressi su di lui. Spesso leggeva per sei ore di fila, fino a notte alta; e quando si venivano a prendere i suoi ordini per il bestiame da macellare o per la mietitura del frumento, spingeva da parte l'in-folio e alzava lo sguardo con l'aria di non capire ciò che gli dicevano. Era pure un gran guaio, e Hall il falconiere, la governante Grimsditch e il reverendo Dupper si sentivano stringere il cuore. Un signore così avvenente, dicevano, non ha bisogno di libri. Li lasci un po' ai paralitici, ai moribondi, i libri, dicevano. Ma dovevano vedere di peggio. Poiché una volta che il baco dei libri si è impadronito del sistema umano, lo indebolisce tanto che esso diventa una facile preda per quell'altro flagello, quello che si annida in fondo ai calamai e i cui germi pullulano in cima alla penna. La vittima incomincia a scrivere. E se è già un male abbastanza molesto per un pover'uomo, il quale non possiede altro che una seggiola e un tavolino sotto un tetto malandato, e qui non ha gran che da perdere, tanto più triste e degno di compassione sarà lo stato del ricco, il quale ha case e bestiame, cameriere, asini e tela, eppure passa il tempo a scrivere libri. Ma tutto perde il sapore per lui; un ferro rovente lo punge; è roso dai vermi. Darebbe fin l'ultimo quattrino (tanto maligno è quel germe!) pur di scrivere un libretto che gli desse fama; ma tutto l'oro del Perù non varrebbe a comprargli il tesoro d'un solo verso ben tornito. Così dunque si consuma, deperisce; il cervello gli scoppia, non distoglie più la faccia dal muro. Poco gli importa che lo si scopra in qualsiasi attitudine. Ha oltrepassato i cancelli della Morte e conosce le fiamme dell'Inferno. >>
da l'Orlando, Classici Moderni, ed. Mondadori, pag. 49. Traduzione di Alessandra Scalero |
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